Benvenuti sulla pagina delle recensioni, dove ho voluto includere anche le critiche e articoli vari che riguardano la mia opera prima.
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“Michaela Šebőková Vannini presenta:
DAL DIARIO DI UNA PICCOLA COMUNISTA”
intervista di Silvia Pattarini di Gli scrittori della porta accanto
3 dicembre 2021
Ciao Silvia, grazie per questo spazio. Era il 2008, mi trovavo in una situazione lavorativa nuova, in una città nuova (avevo traslocato dalla Toscana in Veneto per
lavoro) e più che mai mi prendeva la nostalgia per il mio paese, per la mia infanzia. Non volevo che venisse tutto dimenticato, non volevo dimenticare: la vita non degli eroi che hanno cambiato la
storia ma delle persone qualsiasi, le gioie e le sofferenze delle famiglie, nella quotidianità del socialismo. La scrittura era un modo valido per dar voce ai miei ricordi e io non mi opponevo,
scrivevo ciò che mi veniva dal cuore e dalla mente. Nello stesso tempo speravo che ciò che avrei scritto avrebbe permesso ai miei amici italiani e alla mia nuova famiglia capire meglio me e il mio
Paese natìo.
Così poi è nato Dal diario di una piccola comunista che ha trovato il suo editore in Besa e nel 2013 è stato pubblicato.
Negli anni successivi alla pubblicazione ho realizzato che questo romanzo potrebbe portare al lettore italiano più informazioni del tipo sociale, culturale, politico e linguistico, per comprendere
meglio ciò che io, o chiunque del mio paese, davamo per scontato. All’Università degli Studi di Padova il mio libro d’esordio fu considerato quasi il tassello mancante del mosaico di “Cecoslovacchia
durante il regime totalitario”, perché esistono tanti libri di testimonianze delle persecuzioni e delle vite dei dissidenti anche famosi, ma si sa poco (in Italia) della vita quotidiana delle persone
ordinarie. Fui sorpresa dall’importanza accademica che i prof attribuivano alla mia opera prima, tanto da mettersi in discussione se l’acquisizione del romanzo per la Biblioteca Universitaria
spettava alla parte ceca (romanzo ambientato in Cecoslovacchia) o a quella ungherese (le tradizioni e la vita familiare erano quelle ungheresi). Mi fecero capire che il romanzo meritava di essere
rimodellato anche per fare una delineatura più precisa tra la lingua di famiglia – quella dei “matrimoni e funerali” (ungherese) – e la lingua ufficiale – quella di “vita fuori casa” (slovacco) – per
rispecchiare la peculiarità della vita bilingue in una città di frontiera che per centinaia e centinaia di anni aveva fatto parte del Regno Austro-Ungarico.
Dopo la chiusura del contratto con Besa, nel 2019, cominciai a rileggere e a modificare il testo, ma solo durante il lockdown per Covid, nel 2020, decisi che era giunto il momento di portarlo in fondo. Ho cercato di rendere il testo più fluido, ho tagliato interi paragrafi e ne ho inseriti di nuovi, ho cambiato l’incipit, ho aggiunto delle citazioni delle poesie slovacche e dei detti ungheresi, ho incluso parole e frasi in entrambe le lingue, e infine ho deciso, relativamente alla mole di nuove informazioni che appesantivano il testo, di gestirla tramite le note a piè di pagina, quasi si trattasse di un libro tradotto, con le note del traduttore. In effetti è ciò che mi sentivo, stavo “traducendo” la nostra vita in Cecoslovacchia socialista ai lettori per i quali essa è del tutto estranea. Dopo una lunga serie di interventi, prima di mandarlo in autopubblicazione, a dicembre 2020, l’ho sottoposto alla correzione di bozze. Per il servizio di copertina e di booktrailer mi sono appoggiata all’eccellente Stefania Bergo, Gli scrittori della porta accanto.
Per chi non conoscesse la vita nei paesi socialisti (o comunisti), la parola “pioniera” evoca un’immagine della conquista del West. Per questo motivo ho evitato di inserire nel titolo del libro la parola “pioniera”, sostituendola con la “piccola comunista”.
Nel socialismo un pionere o una pioniera altro non erano che bambini, i futuri comunisti. Lo Stato all’epoca arrivò praticamente ad essere tutt’uno con il Partito Comunista. Il Partito si occupava
egregiamente della formazione politica dei suoi cittadini più piccoli già dalla prima elementare, soprattutto durante le attività extra-scolastiche che bambini eseguivano nel loro tempo libero. La PO
SZM, la sigla che sta per l’Organizzazione dei Pionieri dell’Unione Socialista della Gioventù, era l’organizzazione giovanile del Partito Comunista della Cecoslovacchia per ragazzi dagli 6 ai 15 anni
che collaborava con le istituzioni scolastiche a insegnare ai bambini i valori della vita in socialismo, renderli attivi nella vita politica e partecipi alla costruzione del futuro socialista. In
teoria la partecipazione a quest’organizzazione era in base volontaria, ma la realtà era ben diversa. I ragazzi erano tutti “pionieri”, come lo è Alžbeta, la protagonista, che crede fermamente e
sinceramente in tutti gli insegnamenti ed è molto desiderosa di aiutare la propria Patria nel cammino verso il comunismo. Bisogna chiarire che il “credo” di un pioniere in alcuni punti era davvero
facilmente assimilabile, in quanto sovrapponibile al “credo” cristiano: aiutare gli altri, comportarsi bene. In altri punti bisognava “venerare” l’Unione Sovietica e da grandi voler diventare
comunisti. Per un bambino era naturale credere negli insegnamenti che altro non volevano che “la pace in tutto il mondo” e il “benessere di tutto il genere umano”. E se nell’ambiente familiare tali
insegnamenti non venivano smentiti o smascherati, era naturale poi di conseguenza volerli amplificare.
Le sfide che la protagonista affronta arrivano proprio dagli ambienti ai quali tiene di più: quello familiare, quando casualmente scopre un segreto di famiglia, e quello politico, quando il suo
“credo” viene minacciato dallo stesso nucleo dell’Organizzazione. La sfida la porta a crescere in fretta, e a doversi districare tra la realtà e la finzione, tra la verità e la menzogna.
Ho deciso di dare al romanzo la forma del diario sia per dividerlo nelle unità più corte sia perché il racconto comunque segue in ordine cronologico la vita della
famiglia Novak per quasi un anno, tra il 1986 e 1987. L’introduzione dove si spiega il ritrovamento del diario fa parte del romanzo, non è cioè formulato dall’autrice ma dalla protagonista stessa,
già in età adulta. La forma del diario mi ha permesso di intrecciare il racconto dei singoli avvenimenti tramite le annotazioni del momento della giovane protagonista, con le riflessioni scaturite
nella mente della protagonista mentre già da adulta raccontava la vita di allora.
Il genere del romanzo rimanda all’autofiction: è una combinazione di avvenimenti realmente vissuti e la loro distorsione letteraria. I luoghi del romanzo, gli oggetti, i costumi, le tradizioni, le
pietanze esistono realmente, gli avvenimenti erano accaduti a me, alle persone che conoscevo oppure sarebbero potuti accadere veramente, in quel momento e in quel luogo.
Assolutamente sì. La vita delle persone semplici, che non sono degli eroi e non hanno contribuito direttamente alla “grande storia”, sono una realtà storica nello stesso modo come le vite dei dissidenti o degli artisti perseguitati dal regime. La gente comune rappresentata in questa prosa documentale della realtà storica e sociale ricalca fedelmente la maggior parte dei cittadini di Cecoslovacchia socialista negli anni Ottanta. Le microstorie romanzate e basate sul proprio vissuto scorrono sullo sfondo della macrostoria che segue fedelmente il fluire storico. Mediante numerose dettagliate osservazioni la protagonista avvicina al lettore il modo di vivere nella Cecoslovacchia sotto il presidente Husák, ma descrive anche gli avvenimenti esteri che la toccano particolarmente, come l’incidente nucleare di Černobyľ.
Certamente. Se guardiamo strettamente la scrittura, non ci sono dubbi che si tratti di scrittura migrante con la sua espressività particolare e con alcune trovate
linguistiche peculiari. Credo che ogni lingua madre influenzi in qualche maniera il modo di esprimersi in una seconda lingua.
La stesura e la rielaborazione di questo romanzo mi hanno resa più ricca e più felice interiormente, aiutandomi a scoprire ciò che vivendo e strada facendo mi ero quasi dimenticata: le mie radici
ungheresi. Non ho nessun merito su dove sono nata e su che lingua parlavano i miei avi, ma posso avere il merito di continuare a diffondere, con le mie scritture, l’amore per quelle terre fertili
dagli orizzonti lontani, per la gente che ci vive e per le lingue che in quei luoghi si parlano completandosi e intrecciandosi come le abili mani di un canestraio intrecciano i vimini.
Nel 1986 quando la narrazione si apre, il regime di Gustáv Husák, segretario generale del Comitato centrale del Partito Comunista nonché il presidente di
Cecoslovacchia, ormai da oltre 15 anni guidava il paese attraverso la cosiddetta normalizzazione, di cui l’obiettivo era il “ristabilimento dell’ordine”, reintroducendo il realismo socialista. Come
spiegato anche nel libro, l´indottrinamento ideologico era ognipresente per anticipare che la popolazione aspirasse ai diritti individuali o alle “strane” libertà non concesse. I bambini erano coloro
che più subivano questa pressione “gentile” e costante, e la letteratura per l’infanzia era uno degli strumenti molto utili. I canoni per una pubblicazione o una traduzione dovevano scrupolosamente
seguire le linee guida e avere un atteggiamento propositivo verso il socialismo. Così se da un lato venivano pubblicati i libri con i protagonisti pionieri, comunisti, partigiani e pionieri russi e
famiglie modello, oppure i libri di cui narrazione si collocava in altri stati “amici”, socialisti o comunisti, dal lato opposto si bloccava la traduzione o la pubblicazione di libri che non
corrispondevano completamente alle normative in materia. Nonostante avessi letto praticamente tutti i libri per l’infanzia della libreria comunale della mia città, non mi ero mai imbattuta
in Piccole donne, Alice nel paese delle meraviglie, Mary Poppins, La fabbrica di cioccolato, non parlando di
vari Tex, Paperino o Topolino. Ma naturalmente ho letto Tom Sayer e La capanna dello zio Tom, Cuore e anche Pinocchio se pur in una versione modificata. Voglio recuperare prima di arrivare in pensione, e ho cominciato con Alice nel paese delle
meraviglie [nell'edizione PubMe Collana Gli Scrittori della Porta Accanto, ndr].
Per riconfermare un’altra volta che il valore più grande è la famiglia, in tutte le epoche. Per realizzare che ogni passato vissuto plasma la gente in maniera diversa.
Solo scoprendo le realtà del passato si riesce a capire in profondo un popolo, una nazione. Abituati a essere felici con poco, di riciclare, di non sprecare, lontani anni di luce dal consumismo,
avendo il lavoro assicurato a vita e la possibilità di vivere in modo dignitoso, ma privati delle libertà fondamentali e costretti a diventare inespressivi: mi piace immaginare Dal diario di una
piccola comunista come una chiave di lettura di quella storia recente, di quel mondo che ha forgiato la odierna popolazione.
Consiglio la lettura a chi volesse approfondire la propria conoscenza dei paesi dell' ex blocco sovietico e dei suoi abitanti attraverso dei flashback sulla vita
quotidiana negli anni Ottanta. Per avvicinarsi ai parenti o amici che provengono dalle nazioni dal passato sotto regime socialista e capire meglio i loro comportamenti, abitudini, usanze. Per
conoscere un mondo ormai scomparso ma che non deve essere dimenticato, e che nella letteratura attuale sta cadendo nell’oblio. Per chi vuole semplicemente leggere una storia interessante, profonda,
emozionante, toccante.
Grazie a te, Silvia, è stato un piacere!
articolo su LEA - rivista online
dell'Università degli Studi Firenze
Dott.ssa Stefania Mella:
Dal diario di una piccola comunista. Ricostruzione della vicenda umana nella Cecoslovacchia di Husák.
Articolo "Slovacchia, la tradizione della festa di mezzanotte"
di Emanuela Cardetta, 7 ottobre 2014
blog IL GUSTO DELLE PAROLE
....A proposito di Slovacchia, consiglio a tutti quelli che amano la Slovacchia o che vorrebbero scoprire questo stupendo paese così vicino a noi ma così poco conosciuto, il bellissimo libro “Dal diario di una piccola comunista” di Michaela Sebokova. E’ una storia, raccontata in prima persona da una bambina, ambientata negli anni ’80 durante il regime comunista che, oltre ad appassionare per le vicende familiari della protagonista, è un’occasione per imparare molto sulla storia e la cultura slovacca. leggi l'articolo
Articolo "Il mondo comunista visto da una bambina"
di Marta Benedetti, 8 marzo 2014
Il Giornale di Vicenza
...leggi l'articolo...
Articolo "Sebokova, diario di una piccola comunista"
di Francesco Chiamulera, 23 gennaio 2014
Corriere della Sera - Corriere del Veneto
(Padova e Rovigo)
Articolo di Paola Pastacaldi, 22 gennaio 2014
"Lo zucchero e la frusta": intervista a Michaela Sebokova
intervista di Giulia Abbate di Studio83
6 novembre 2013
LA PRIMA RECENSIONE del mio libro è stata fatta da Giulia Abbate di STUDIO83 (qui trovate il loro sito di consulenza letteraria e tante altre cose interessanti sul mondo di scrittura!).
La Recensione viene così introdotta sulla pagina del blog di STUDIO83:
Abbiamo letto e recensito “Dal diario di una piccola comunista”
esordio di Michaela Sebokova, che possiamo definire affettuosamente “autrice di Studio83″: sì perché la sua prima apparizione su carta risale a Venti Nodi Zero e il suo romanzo di esordio, pubblicato
da Besa, è anche frutto di un intenso lavoro fatto insieme. Michaela ha infatti scelto per il suo romanzo ancora manoscritto la Valutazione Basic, che la ha dato una scheda di tips e consigli (tra i
quali quello d mandare il testo a Besa dopo la revisione!) e di Editing Seconda Lingua, un intervento che ha reso il suo italiano non madrelingua a prova di lettore professionale, pur mantenendone le
preziose particolarità specifiche.
Stavolta, forse, la recensione mancherà un po’ di
obiettività, dato che siamo felici di questo primo successo di Michaela Sebokova per averla vista nascere come scrittrice. Quindi a beneficio dei lettori optiamo per la trasparenza, scoprendo le
carte e dichiarandoci solo un pochino più di parte del solito.
“Dal diario di
una piccola comunista” è il romanzo di esordio di Michaela Sebokova, autrice di nazionalità e nascita slovacca, che ha scelto di usare direttamente l’italiano per rievocare la propria
adolescenza passata nella ex Cecoslovacchia sotto la dittatura comunista.