dedicato a un'amica, agosto 2014
Salendo al Duomo
(in una mattina d’estate)
Mi sveglio di buon’ora
Apro le finestre sui tetti di tegole dipinte dal tempo
e sulle colline chiaro-scure dipinte dall‘uomo
Scendendo le scale ripide
saluto in silenzio
la vecchia Singer in bella vista
la tenda festosa fatta all’uncinetto
lo scorrimano intagliato
E fuori dal portone
m’immergo nella frizzantezza intima
di un borgo che dorme ancora.
E lo tocco con tutti i sensi,
quel “non veduto borgo montano“;
lo bevo, lo respiro
lo assaporo in ogni sua forma vista o intuita
e l’eco di ogni mio passo
fa l’eco alla vecchia poesia.
Salendo al Duomo
i suoi vicoli stretti di pietra grigia
carezzano i miei piedi
mentre io carezzo il gatto grigio
che fa le fusa, ruffiano!
La mano sfiora
i freddi battenti di ferro
delle porte di legno incise,
la rugiada del muschio serico dei muretti,
i fiori colorati sui davanzali,
e infine i leoni di marmo del Duomo
ancora un poco addormentati
mentre le finestre traslucide sui lati dell‘altare
fanno passare il primissimo sole incerto
per un riservato ma gioioso balletto mattutino
di particelle di polvere.
In quell´aria che sa di buono
di antico e di nuovo
di guerre facili e perse
di quelle sofferte e vinte
di quotidiano
di non scontato
di umiltà
di orgoglio
di amore e di speranza senza confini,
Lo sguardo passa oltre l´orizzonte
oltre la Pania della Croce
oltre l´Omo Morto
oltre tutte le cose visibili, tangibili e materiali
per poi ritornare all’improvviso qui,
sugli scalini del Duomo:
quattro tocchi acuti e sei gravi
vibrano sopra i tetti del borgo addormentato.
Sono le sei di una mattina d´estate
e il Campanile bargeo, puntuale,
annunzia ai barghigiani una nuova giornata.