cucinare sano e facile
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Racconto nella sua versione integrale


Michaela Sebokova

                 Benvenuti nel Club degli eterni esordienti

Non mi piacciono i compromessi. Anzi, li detesto. Però, banale ma vero, la vita ne è piena. Sin da piccolo volevo diventare scrittore. Invece, avevo affrontato gli studi di medicina, come da desiderio di mia madre. Quando avevo mollato, mi mancavano tre esami. Non ne potevo più. Non mi vedevo per niente con il bisturi in mano, a tagliuzzare la carne viva che, sotto sotto, era un essere umano. Ripartii da capo. Altri sette anni di vita da studente, ed eccomi qui oggi: l’architetto Sfortunatto, di Studio associato Berlingacci & Sfortunatto, ai vostri servizi dal 1952. Come da desiderio di mio padre.

Mi piacciono le donne alte, slanciate, more, di carnagione scura, occhi da cerbiatta, con i piedi minuti. Invece ho sposato una donna piuttosto bassa, pallida, capelli color topo, occhi da topolino, che al posto delle scarpe porta le barche. Quando balli con lei, le pesti sempre i piedi. Ciò nonostante l’ho sposata, e la amo. Almeno credo.

Ho sempre sognato di avere una casa in mezzo ai boschi, con la veranda dipinta di rosso. Un’antica macchina da scrivere, davanti alla finestra affacciata sul torrente. Invece sono chiuso dentro questo studio che è chiuso dentro il mio appartamento che è chiuso dentro un condominio che è chiuso dentro una città. Il mio viso ha il colore della cenere, in questi giorni vedo il sole dalle 13.48 alle 14.23, dalla finestra dello studio, sempre che non sia nuvolo. Un altro compromesso, questo.

Mio figlio, Giordano, è anche lui un compromesso. Voluto da me, mentre la moglie voleva una femminuccia; portato per la musica, mentre io avrei voluto che si dedicasse allo sport; pigro, mentre mia moglie lo vorrebbe attivo; single, mentre io vorrei che fosse fidanzato. Sempre con le braccia penzoloni, mentre noi vorremmo che camminasse eretto, come un vero Homo Sapiens Sapiens. Capelli lunghi, e noi immaginiamo di intrufolarsi una notte nella sua cameretta e di tagliarglieli nel sonno.

Un compromesso anche quello di fare le vacanze al mare, ogni anno, a Milano Marittima. Perché così lo vuole la moglie, e la suocera, e il suocero. Mi sento un idiota imbecille, a stare a giornate sulla sdraia, a leggere il giornale. Nessuno però mi può impedire di sognare: copro il viso con la Gazzetta, chiudo gli occhi, e sogno il bosco. Pieno di odore acre di foglie marce e di funghi. Là quel sentiero porta verso la mia casa, quella in mezzo ai boschi, con la veranda dipinta di rosso e la macchina da scrivere con il foglio bianco già infilato tra i rulli.  

Concludendo, praticamente l’unica cosa al mondo dove non sono disposto a scendere ai compromessi, sono le mie creazioni letterarie. Non ho mai del tutto rinunciato al mio sogno fanciullesco, tempestando le riviste per i bambini e poi i giornali locali con i miei articoli. Con un certo successo, modestamente ammetto. All’età di dieci anni ero praticamente già un esordiente. Ho partecipato agli innumerevoli concorsi di poesia e di racconto breve, ho vinto tre primi premi, nove secondi e otto terzi, i miei racconti e le poesie sono stati pubblicati sulle riviste e in antologie.

C’è qualcosa che non quadra, ahimè: dopo quarant’anni di tentativi per esordire, sono tutt’oggi senza una propria pubblicazione. Ad anni alterni invio agli editori selezionati la mia sempre più ampia antologia di racconti e quella di poesie. Ogni tre anni spedisco anche un nuovo romanzo. Niente. Come se le mie buste portassero iella. Sarà il mio nome. Sfortunatto, per qualcuno con l’astigmatismo si potrebbe trasformare in Sfortunato. Chi da ragazzo aveva tentato di prendermi in giro e di appiccicarmi questo sopranome, si portava a casa un bell'occhio nero. Ma come faccio a prendere a pugni una casa editrice?

La mia pecca, e me ne rendo conto, è quella di voler esordire PERCHÉ SONO BRAVO. Non esordire a tutti i costi, o a spese proprie, o scrivendo spazzatura. Sto aspettando l’Editore che intuirà in me un futuro Jack London e vorrà costruire insieme a me, non distruggere.

 

Su insistenza di mio figlio, da questa primavera ho cominciato a inviare le mie proposte alle case editrici tramite email. Non che io fossi un troglodita; l’internet per il lavoro lo uso da quando esiste. Soltanto ero restio a utilizzare la posta elettronica per spedire le mie opere. Stampate amorevolmente sulla carta, prendevano una propria vita, non erano più solo delle parole che il vento poteva portar via. Erano dei segni neri sulla carta bianca. Una realtà tangibile.

E poi, l’attesa della risposta era un piacere tutto a sé. Il postino passava alle nove, puntuale. Alle nove e tre minuti, col fare disinvolto, sfilavo davanti alla portinaia, come se andassi a passeggiare. Sbirciavo del tutto indifferente nelle aperture della casetta per le lettere e poi uscivo. Facevo il giro dell’isolato e poi, entrando, ritiravo la posta. Le bollette, o gli estratti conto. Ogni tanto una cartolina dai parenti in viaggio verso chissà quale meta lontana. E, qualche volta, una lettera da parte di un editore. In queste rare occasioni nascondevo la lettera solo la camicia e me la portavo su in casa. Mi chiudevo nello studio, sgombravo la scrivania e ci appoggiavo la busta. Passavo ore e ore a fantasticare sul contenuto. Quando non ne potevo più dall’ansia, andavo in cucina e mi preparavo un Bloody Mary. Senza vodka, ovviamente. Non bevo mai di mattina.

Con la mia bibita in mano, guardavo sognante la busta sigillata fino all’ora di pranzo. All’una squillava il telefono interno: mia moglie che mi chiamava a pranzo. Sicurissimo di non poter resistere oltre, aprivo la busta con le mani tremanti, rischiando di tagliarmi con il coltellino. Ansimando leggevo in due secondi tutto il contenuto.

Purtroppo, bastavano proprio due secondi: “Egregio signor Sfortunato, siamo desolati ma l’opera da Lei inviataci non entra in questo momento nel nostro piano di pubblicazione. Peccato che non ce l’abbia mandato un anno fa. Saluti, redazione di casa editrice DESOLADOS.”

Oppure: “Egregio signor Sfortunato, la Sua antologia di poesie è veramente valida, purtroppo da quest’anno abbiamo deciso di non pubblicare più le poesie. La salutiamo cordialmente, segreteria di RIMA EDITRICE”.

E ancora: “Buon giorno signor Sfortunato, il suo giallo ci è piaciuto molto. Eh, eh, ci siamo! Finalmente mi posso togliere quest’etichetta dell’eterno esordiente! Vorremmo discutere con Lei del suo protagonista. Cos’ha il mio Luigi che non va? Un vero gentiluomo, colleziona i reperti antichi, fa sub e pugilato. In linea con la politica attuale preferiamo che i protagonisti siano femmine. Se per Lei va bene, cambiamo Luigi per Luigina e per il resto è tutto perfetto. Che ne dice? In attesa del Suo riscontro, distinti saluti, casa editrice SUPERMAN”.

Che diamine! Dovrei cambiare il mio protagonista? Il suo profilo è la chiave di volta del romanzo. Se lo devo trasformare in una femmina, tanto vale che io scriva un romanzo nuovo. Così non va, così non si fa! E lasciamo perdere che ogni volta diventavo il Signor Sfortunato, senza la più remota possibilità di fare un occhio nero al redattore che aveva scritto la risposta.

 

E la lettera va a raggiungere le altre, nell’ultimo cassetto della scrivania.

Accanto alla poesia che tanto piace a mia moglie.

Nell’aria quasi inesistente

che si riesce a intrufolare

laddove la pelle delle nostre mani si sfiora e si unisce,

c’è giusto il microspazio

per far scorrere l’amore dalla tua mano nella mia

e viceversa, come se fosse una sostanza magica.

Accanto al mio primo romanzo rilegato a mano. “Sognavo il mondo come ci veniva promesso che sarebbe diventato, se il partito comunista avesse avuto la possibilità di gestire tutti i paesi del globo.”Il racconto che ha vinto un primo premio. “Mi faccio avvolgere da quel profumo familiare, lascio che il tempo scorra e che le cose succedano.” La fiaba che ho scritto per mio figlio. «Ho perso il mio miglior amico. Qualcuno l’ha visto?» L’erba gli risponde con una risatina soffocata, gli alberi con un sospiro rassegnato. Un gufo gli dice di non aver visto nessun amico perso, ma si raccomanda di non mollare, perché “Chi cerca, trova”. Il gufo di quella fiaba è il mio unico consulente in materia. Qualsiasi cosa io gli chieda, lui mi risponde sempre di non mollare, perché “Chi cerca, trova”.

Oggi, nell’era dell’internet e delle truffe, il gufo è alquanto confuso. Ripete ancora il suo “Chi cerca, trova”, ma non sono del tutto sicuro se credergli ancora. Oppure se lui stesso ci crede.

 

Un mese fa, per il mio cinquantesimo compleanno, ho chiesto come regalo da mio figlio che mi creasse un blog. L’ho chiamato “Club degli eterni esordienti” e mi sono autoeletto presidente. E’ un Club molto selettivo; viene espulso all’istante chi pubblica un libro tutto suo. Ed è incoraggiato chi divide le proprie esperienze da esordiente con le case editrici, sia quelle valide, sia quelle poco oneste, troppo furbe, o che vogliono trasformare la tua creatura in un mostro a loro immagine.

 

Mi successe solo una volta, di essere fregato in quel modo, e ne feci tesoro. Avevo sei anni e avevo scritto la mia primissima poesia, praticamente una dichiarazione d’amore. Volevo che la pubblicassero sulla rivista scolastica. La poesia era questa:

Guarda, sole, guarda

c’è la piccola Marta

ha delle lunghe trecce

e mi piace.

Il redattore della rivista scolastica che era nello stesso tempo anche il maestro di letteratura, accettò la mia poesia e mi promise di pubblicarla sul numero del mese successivo. Quando la rivista fu distribuita nelle classi, la sfogliai con le mani umidicce. Una volta, due, tre volte. Nulla. La mia poesia, intitolata “Marta”, non c’era.

Deluso e convinto che questa mancata dichiarazione mi avrebbe fatto scappare l’amore della mia vita, andai a presentare le mie lamentele al redattore. Costui mi squadrò sopra gli occhiali, si grattò il naso e mi fece avvicinare. Sfogliò la rivista e additò una poesia: infatti, sotto c’era il mio nome. Giovanni Sfortunatto. Solo che la poesia s’intitolava “Passeggiata“ e diceva così:

Oggi che bella giornata

faccio una passeggiata

porto anche il mio cagnolino

è bravo ma è piccolino.

Guardai stupefatto il maestro.

”Ma questa non è affatto la mia poesia!”, dichiarai indignato.

“Beh, l’abbiamo un po’ ritoccata,“ ammise il maestro-redattore, senza preoccuparsi minimamente per il mio nome di poeta e per la mia storia d’amore non ancora cominciata. Nonostante la mia tenera età capii che in quella guerra non avrei mai potuto vincere e suonai la ritirata. Marta continuò a ignorarmi per l’intera durata delle elementari; in età adulta diventò una ballerina di lap, e non mi dispiacque più così tanto di non essermi mai dichiarato con lei.

E non scrissi più niente per la rivista scolastica.

 

Creato il mio Blog, potevo riversarci tutte le ingiustizie ingollate in quarant’anni. Stavo scoprendo che di persone come me, degli eterni esordienti, ce n’era una marea. Tra loro si nascondevano anche degli scrittori poco validi che si davano delle arie ma in realtà non avevano mai combinato niente di buono. Alcuni addirittura copiavano dei pezzi famosi facendoli passare per propri. Ma che cosa gli passava per la mente? Nello Scrivere la soddisfazione è proprio quella di creare, di inventare, di dare la vita ai personaggi mai esistiti, far accadere gli eventi mai accaduti. Scrivere è una MAGIA. Fare le fotocopie non lo è.

 

Stavo ragionando su queste cose anche stamani, seduto dietro alla mia scrivania. Erano le nove e me la stavo prendendo con comodo. Solo due giorni fa lo Studio ha presentato al Comune il suo progetto per il nuovo teatro. Eravamo tutti esausti, e ci siamo presi tre giorni liberi. Per non stare sotto i piedi alla moglie, la mattina mi sono ritirato nello studio. Volevo finire di scrivere un articolo per i soci del Club. Prima però apro la posta elettronica, quella personale.    

In alto lampeggia un e-mail da leggere. Mi scrive la casa editrice LODI.

Non ci credo quasi. Sono mesi che ho inviato le mie proposte, senza risposta. E ora, eccola qua. Sono sicuro che questa volta sarà quella giusta. La mano si protegge, abbraccia il mouse come se volesse dargli la vita, le dita accarezzano i tasti pronte per cliccare e aprire quel messaggio.

E’ il gufo, il gufo mi ha portato fortuna. Non mollare mai, perché “Chi cerca, trova”.

Sento i capelli rizzarsi sulla nuca, sudore freddo colare sulla fronte. E se fosse vero? Sarò ad autoescludermi dal Club da me ideato? Forse c’è un modo per pubblicare facendo finta di non aver pubblicato? Uno pseudonimo. Ecco che faccio! Pubblicherò sotto pseudonimo, così i soci del Club degli eterni esordienti se ne staranno tranquilli ed io continuerò a gestire il mio Blog come presidente del Club.

Sono orgoglioso di aver avuto un'idea così brillante. Mi alzo, vado in cucina e mi preparo un Bloody Mary. Con un goccio di vodka. Mia moglie mi vede passare, ma non fiata. Devo avere uno sguardo assassino.

Mi rimetto in poltrona, sbircio la riga invitante nella posta in arrivo. Sorseggiando il mio drink a occhi chiusi, faccio un giro immaginario dell’isolato, per depistare la portinaia curiosa. Tornando indietro apro la cassetta delle lettere e tiro fuori la busta arrivata da LODI. Con due movimenti veloci sgombro la scrivania da poche carte che ci sono rimaste. Ci vuole la piazza pulita per la busta. Richiudo gli occhi, assaporo il momento. Poi, come per incanto, con un clic del mouse la busta si apre ed io posso leggere la lungo attesa risposta di vittoria.

Egregio Signor Sfortunatto!” Lo sapevo, lo sapevo! E’ il primo editore che si è preso la briga di scrivere il mio cognome in modo corretto. “Siamo lieti di comunicarLe che il Suo romanzo inviatoci per la valutazione, “Un topo e tredici gatti“, ha guadagnato la nostra piena attenzione. Il Suo giallo è pressoché perfetto, e saremo veramente felici di firmare un contratto con Lei.” Un sorso di Bloody Mary mi va di traverso, quasi mi strozzo. L’adrenalina mi annebbia gli occhi, il sudore mi cola anche dalle orecchie. “Certamente, ci sarà da fare qualche piccola correzione, ma sono questioni di routine che ogni scrittore ben conosce (in allegato troverà i dettagli). Rimaniamo in attesa di un Suo riscontro e La salutiamo cordialmente. Segreteria di Edizioni LODI, da oggi la Sua casa editrice.”

L’emozione è davvero troppa, sento i battiti alzarsi e il cuore che tambureggia in un ritmo strano. Intravedo ancora la pellicola con la scritta “Un topo e tredici gatti”, tratto dall’omonimo romanzo di Giovanni Sfortunatto - , e Sean Connery che con in testa un cappello a tesa larga avanza nella pioggia battente verso l’entrata di un bar.

 

Sette giorni dopo mi ritrovo di nuovo nel mio studio, sulla poltrona girevole. La scrivania non è più sgombra, a destra e a sinistra ci sono pile di carte varie, progetti, cartelle. Lo studio non è più silenzioso: la segretaria parla al telefono, i due assistenti litigano su un dettaglio. Il mio socio, Berlingacci, è immerso in ascolto della Quinta Sinfonia di Bach.

Mi muovo con circospezione, in attesa di un’altra aritmia cardiaca. All’ospedale mi hanno assicurato che le nuove medicine escludono del tutto un altro episodio del genere. Secondo loro devo riprendere la solita vita, cercando di evitare le emozioni grandi e lo stress. Ti sembra facile! E’ anche vero che il mio lavoro non è tanto stressante: la parte più noiosa ormai se la sbriga il Berlingacci Junior. Junior per modo di dire: ha quarant’anni, l’età giusta per sopportare un po’ di stress. Lo aiuta la musica classica, il Bach in particolare; così, per pace nello Studio, lo ascoltiamo insieme a lui e poi lasciamo che si stressi anche per conto nostro.

E le emozioni? Non mi ricordo più quando è che ho riso, quando è che ho pianto. Forse quando è nato Giordano. O era quando è morto il mio cane, Rufus? Be’, non importa.

 

Imbottito di medicinali, mi rileggo l’email di LODI. “Egregio Signor Sfortunatto! Siamo lieti di comunicarLe…la nostra piena attenzione…pressoché perfetto…firmare un contratto…firmare un contratto…” Per un’ora continuo a fantasticare sulla firma del Contratto. Per l’occasione mi porterò dietro la Parker d’oro regalatami da mia moglie. Anzi, porterò anche mia moglie. Beatrice è sempre una bella donna, forse è meglio ora a cinquant’anni: la maturità le dona. Anche la tinta le dona, i suoi capelli non sono più di quello strano color topo; ora sono color mogano. Sì, porterò anche lei e anche Giordano, a condizione che si lasci tagliare quei capelli da hippie.

Lancio la stampa dell’allegato. Sono un uomo all’antica, per le lunghe letture preferisco sfogliare la carta che cercare di decifrare i caratteri sul monitor.

Faccio un cenno alla segretaria, Mariuccia, la ragazza d’oro con il corpo di bulldog e carattere ancora peggio. Però fa un ottimo tè verde e nessuna è brava come lei a tenere i progetti in ordine. Perciò le è perdonato il pessimo gusto in materia di fidanzati, l’assenza settimanale per le sedute dimagranti, le viene perdonato anche la presenza dell’enorme cactus che ha voluto portarsi a tutti i costi nello Studio.

Mariuccia mi porta le due pagine stampate, e anche una tazza di tè verde, preparato con tanta attenzione. Su un piattino fa apparire una manciata di biscotti secchi. Quest’ultimo è un grande privilegio, sicuramente dovuto alla mia condizione di convalescente. Mariuccia detesta la gente che sciupa il sapore del miglior tè verde con la pasticceria. Però ben sa che nel primo cassetto tengo dei cantucci e che li sgranocchio quando lei non mi vede. Ora mi squadra sotto sopra per verificare se do qualche segno di cedimento; annuisce, contenta, e se ne torna al suo posto.

 

Prendo in mano la tazza con il tè, addento un biscotto alle noci e comincio a spulciare la richiesta della LODI.

“Per primo, bisogna cambiare il nome al protagonista. Jack è troppo abusato, che ne dice di Omar, oppure Kirk?” In fondo hanno ragione. Magari non proprio Omar che sembra arabo, e neanche Kirk che si pronuncia chissà come … un altro nome al mio Jack, d’accordo, è accettabile.

Altri interventi richiesti: è necessario che Lei inserisca una figura femminile, al fianco del suo protagonista.” Insomma, se creare una fidanzata - che magari è assente causa suo lavoro con gli aborigeni di Australia - vi rende felici, così sia. Inventeremo la fidanzata australiana.

In realtà, è meglio che non sia una fidanzata fissa, ma un’amante, e che il protagonista ne abbia un po’ in tutti i posti: il suo lavoro di agente segreto lo porta in tanti paesi. Così le fidanzate possono essere di vari tipi.” Eh, no! Qui si mette male. Il mio Jack diventa un donnaiolo, e cos’altro? Lo scopro presto: “Naturalmente sono richieste le scene d’amore, mediamente una ogni sei cartelle. Più in dettaglio va, meglio è.” Sto rischiando un’altra tachicardia. Chiudo gli occhi, mi concentro di non rovesciare il tè che tengo in mano, e respiro profondamente.

Passa un minuto, due. Poi, all’improvviso, decido di non soffrire più. Di non tormentarmi più, leggendo questo allegato prepotente di una casa editrice prepotente. Scelgo con cura maniacale un biscotto alla mandorla, lo infilo in bocca, me lo gusto. Lo faccio seguire da un amaretto, squisito. Un sorso di tè, e riprendo la lettura.

“… cambiare la macchina del protagonista, invece della cinquecento truccata una Maserati (gli mandate voi i soldi, a Jack, per la Maserati?)… di farlo vestire con abiti firmati, andrebbe bene tipo G. Armani (inviate soldi pure per Armani?)… e dove lascia il suo cane quando va in missione? (ma non l’avete letto il manoscritto, voi? C’è un anziano vicino di casa che se ne prende cura!).

A questo punto mi sono stufato. Interrompo la lettura, vado da Mariuccia e infilo i fogli nel suo tritacarta. Tutte quelle parole odiose si trasformano in dei segni neri sulle strisce di carta da macero.

 

Esco dallo studio, scendo le scale e vado in cucina. Mia moglie è lì, appollaiata sullo sgabello, davanti ad un complesso problema di algebra.

Sente la mia presenza, alza la testa.

“Tutto bene, ti senti bene?” mi domanda preoccupata. Non scendo mai in cucina prima del pranzo.

“Sto bene, amore” rispondo sinceramente. “Sono venuto a dirti che l’email della LODI è in realtà una fregatura.”

“Come mai Giovanni?” corruga la fronte. Ha quel buffo modo di corrugare la fronte, le orecchie le si spostano davanti, ricorda tanto uno scoiattolo molto carino.

“Sta tutto nell’allegato. Lasciamo stare, d’accordo? Sono deluso ma sereno. Volevo solo dirtelo” concludo e mi siedo sullo sgabello accanto a lei.

Beatrice non dice nulla. Mi guarda, poi si alza. Apre un cassetto, tira fuori una busta e la mette sul tavolo, davanti a me.

“Aprila!” mi dice, a un tratto impaziente.

La busta non è sigillata. Contiene un foglio di carta bianca e una chiave.

“Cos’è questo” le dico, ”una sorpresa?”

“Volevamo dartela insieme a Giordano, stasera. Ho solo deciso di anticipare,” risponde con un piccolo sorriso.

“Un foglio bianco e una chiave?” non capisco. Chiave di cosa, poi? Una chiave semplice, piccola, poco pretenziosa.

“Quando ti hanno ricoverato, ho letto per caso l’articolo che avevi sulla scrivania, quello che hai cominciato a scrivere per il Club degli eterni esordienti. Non me ne hai mai parlato, della tua casa immaginaria in mezzo ai boschi… ecco, questa è la chiave di quella casa, per il prossimo mese è tutta nostra. La veranda è dipinta di giallo, ma se compriamo la vernice, il proprietario è disposto di lasciarcela ridipingere, se ti fa piacere.” La sua voce è piena d’affetto e di quel tono canzonatorio che mi ha fatto innamorare di lei.

“E il foglio bianco, che ci faccio?” rigiro in mano la carta, cercandoci invano un segno, una scritta.

Il suo viso si apre in un sorriso radioso.

“C’è anche una vecchia macchina da scrivere. Funzionante. Manca solo quel foglio bianco tra i rulli. E’ l’unica cosa che manca in quella casa in mezzo ai boschi. E lo porti tu e lo riempirai di tante belle parole come solo tu sai fare. A barba di tutti gli editori.”

Rimango di sale. L’emozione mi riempie i polmoni, lo stomaco, la gola. Tossisco per scacciare le lacrime, e affondo il viso nei capelli mogano di Beatrice. Attraverso il tepore del suo corpo sento le fondamenta ferme del nostro amore.

 

Se voleste pubblicare il mio libro, sapete dove trovarmi: Studio associato Berlingacci & Sfortunatto, ai vostri servizi dal 1952. Cercate Giovanni Sfortunatto, l’eterno esordiente sfortunato ma felice.

 

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