Ero convinta di poter vivere bene in un paese straniero. Credevo che il passaggio dallo status di straniera estranea a straniera integrata e poi a cittadina di origini straniere fosse un ciclo lungo sì, ma non impossibile, non così sofferto e a volte persino crudele. Dopo anni di vita in Italia mi sembrava di non sentire in modo particolare la nostalgia del mio Paese. Solo un paio di volte all’anno mi assalgono i ricordi e per qualche giorno non riesco a togliermi di dosso la soffocante sensazione di perdita di qualcosa che non sapevo neanche di possedere: l’appartenenza a una comunità, a un popolo, a una cultura. Ero convinta che la convivenza del mio vecchio io slovacco-ungherese potesse creare una bellissima lega con il mio nuovo io italiano, tanto da riflettere con le diverse sfaccettature tutte le singolarità di cui ogni cultura è il custode. Attendevo pacatamente l’assestamento dopo quel terremoto che è l’emigrazione, la bonaccia dopo quelle burrasche che sono i traslochi.
Mi piaceva immaginare che le mie radici non fossero ancorate alla terra dei miei avi. No, sarebbe stato troppo doloroso, le radici crescendo si tendono e tirano e il loro incessante se pur appena percepibile movimento mi avrebbe creato dei disagi continui, degli attacchi che arrivano nei momenti più improbabili, tra ritorno-non ritorno, vado-non vado, mi fermo-non mi fermo, una specie di boomerang che gira all’infinito e prima o poi ti fa andare fuori di testa, davvero no, grazie. Volevo che le mie fossero delle radici fluttuanti. Come se io fossi una mongolfiera che vola in alto, indomabile, e getta l’ancora solo dove e quando lo ritiene opportuno. Sì, io ho le mie radici che si ricordano l’odore di terra polverosa della vasta pianura danubiana, ma no, queste radici non mi tengono bloccata a terra per impedirmi di librarmi. Io mi libro quando voglio, spicco il volo, atterro, riparto, a me la scelta del momento e del luogo. Io ho le mie radici fluttuanti, una soluzione comoda, un po’ come la chiocciola che si porta con sé la propria abitazione, e dovunque si fermi sarà sempre a casa.
Forse solo noi umani siamo perennemente scontenti e desideriamo le cose che non abbiamo, e non siamo felici per quelle che abbiamo. Sarà per questo, per la mia indole umana e di conseguenza poco razionale, che col tempo le mie radici fluttuanti sono diventate capricciose. Forse sono stanche di fluttuare, vorrebbero aggrapparsi a qualcosa, cercano di insinuarsi, si estendono e penetrano fino a dove riescono, un po’ come le radici delle mangrovie. Con una piccola differenza: le radici delle mangrovie saranno felici là dove sono, mentre le mie radici non si ricordano più la felicità e non sanno come e dove ritrovarla.
Non so se qualche chiocciola ha mai pensato di voler cambiare la propria casa o il proprio status di chiocciola. Sento che per me è arrivato il momento di gettare le ancore in un porto sicuro. In un catino preparo la miscela magica per la mia baia: un secchiello d’acqua del Danubio e un secchiello d’acqua del Mediterraneo. Sì, se le acque salmastre riescono a dare il giusto nutrimento alle mangrovie, perché non potrebbero fare altrettanto con le mie radici? Per ritrovare la felicità basta tenere giuste le proporzioni di acqua dolce e di quella salata.
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