cucinare sano e facile
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LA BAMBOLA

“La bambola, la bambola!” invocava la bambina sotto voce, muovendo appena le labbra. Stava in punta dei piedi, aggrappata alla finestra, e cercava di vedere oltre la neve che cadeva soffice. Sapeva che era ancora presto, prestissimo, ma una preghiera silenziosa non poteva guastare. Chissà, forse il Gesù bambino era già nei paraggi e l’avrebbe sentita, e non si sarebbe scordato come negli anni precedenti. Di portarle la bambola. Una vera bambola, non di straccio, non di legno. Una vera bambola, tutta per lei.

Il papà da qualche giorno faceva dei strani sorrisetti quando incrociava i suoi bambini, e gli dava una speranza segreta. Il più grande voleva un cavallino, la media una bambola e il più piccolo un elefante (non sapeva bene cosa fosse ma ne aveva sentito parlare: qualcuno aveva visto un elefante al circo ed era proprio me-ra-vi-glio-so!).

Il Natale cecoslovacco in quegli anni cinquanta non era proprio la festa dei regali: era la festa di nascita di Gesù e i bambini ricevevano solo qualche vestito nuovo o un paio di scarpe, per andare ben vestiti alla messa di mezzanotte. Nessun giocattolo, mai. Non c’erano i soldi, non c’erano le possibilità. Ma i sogni rimanevano.

Nel pomeriggio, aspettando la sera della Vigilia, la famiglia si radunò intorno al tavolo festoso, accanto all’alberello decorato con le noci, piccole mele selvatiche e fiori fatti con la paglia. I bambini erano impazienti: forse questa volta il Gesù bambino avrebbe esaudito i loro desideri? Il papà sorrideva, la mamma anche. Era forse un buon segno?

A un certo punto qualcuno bussò alla porta. I bambini smisero di respirare, nei loro occhi grandi come il mondo intero si leggeva la paura. Qualcuno lo sapeva se il Gesù bambino bussava, prima di entrare? E non doveva arrivare dopo la cena, come ogni anno?

Il papà li spronò ad alzarsi e li accompagnò alla porta. La schiuse, e tutti la videro. Una slitta. Bellissima. In legno lucido. Lunga, lunghissima, li avrebbe portati tutti e tre. Una vera slitta, per giocare sulla neve come non avevano mai fatto!

La mamma gli permise di provarla nonostante fosse già sceso il buio. Si vestirono bene, e uscirono.

La neve non cadeva più, il cortile era illuminato dagli occhi curiosi di un milione di stelle. I bambini si misero a cavalcioni sulla slitta e il papà li trainò. “Hijé, hijò!” gridavano i bimbi al cavallino improvvisato. Ben presto scoprirono che Bobi, il loro cane grande e peloso, era desideroso di provarci. Così il papà gli sistemò la corda sulla schiena e intorno al petto, e i bambini fecero a ruota per farsi trainare in giro dal cane. “Hijè, Bobi, bravo, Bobi, tira più forte!” lo incitavano mentre il cane correva a perdifiato, felice come non mai, con uno dei bambini seduto sulla slitta e gli altri due che correvano accanto.

Quando poi rientrarono, con i visi rossi e le mani gelate, coperti da neve e stanchi, la mamma li stava già aspettando con il thè caldo e dei biscotti speziati.

Quella sera, prima di infilarsi nel letto, sotto l’enorme coperta di piuma d’oca, la bambina ritornò alla finestra dalla quale la stessa mattina cercava di penetrare con lo sguardo la coltre di neve. Fuori era sì buio, ma la neve bianchissima sotto il cielo stellato rendeva la notte luminosa, magica.  

La bambina bisbigliò rispettosa: “Grazie, o Gesù bambino, per il bellissimo regalo che ci hai fatto. E non importa che non mi hai portato la bambola. In fondo, io sono già grande.” Ci pensò su un attimo, e poi aggiunse, titubante: “Forse me la potresti portare il prossimo anno?”

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